FUORI REPERTORIO
Giulietta
Una produzione Fondazione Aida
di Federico Fellini
adattamento di Monica Ceccardi con la collaborazione di Lorenzo Bassotto
con Monica Ceccardi
costumi di Sonia Mirandola
scene di Gino Copelli
realizzate da Guglielmo Avesani
light design e audio di Claudio Modugno
effetti sonori di Stefano Papetti
regia di Lorenzo Bassotto
“L’unica fedeltà vera è quella a se stessi e al proprio destino,
nel rispetto assoluto di ogni individualità”.
Federico Fellini
“Giulietta” di Federico Fellini è l’idea-soggetto scritta in forma di monologo di quello che nel 1965 diventerà il film “Giulietta degli spiriti”. Attraverso il rivoluzionario linguaggio felliniano, innervato di elementi fantastici, onirici, tragici, ironici, psicoanalitici e realistici, Giulietta conduce lo spettatore in un viaggio interiore delicato e profondo, alla ricerca del proprio vero sé. Fellini aveva caro questo racconto perché in esso, forse più che nel film che ne seguì, era riuscito a condensare molti problemi e interrogativi personali, trasfigurati in chiave visionaria. “Giulietta” segna inoltre l’approdo di Federico ad un modo di convivere con i propri fantasmi che egli aveva imparato dalla psicanalisi di Jung, e che in seguito non abbandonò più.
I grandi nodi affrontati da Giulietta, sono quelli sui quali scontrandoci impariamo la vita: il rapporto con il nostro corpo e con l’immagine che di esso ci restituisce lo specchio, la sessualità e il tradimento, il dolore e la paura di non essere all’altezza delle aspettative degli altri, la difficoltà di realizzare o anche solamente di conoscere e ascoltare i nostri sogni, il rapporto con noi stessi e col mondo esterno, la ricerca della nostra verità.
Giulietta è un’eterna ragazza, una bambina, dentro un corpo di donna. E’ come se il tempo le avesse imposto una vita ordinata, rigida, che lei ha accettato senza apparenti riserve. Agli occhi del mondo è una donna sposata con l’unico uomo che abbia mai conosciuto e amato, ha una casa che cura con dedizione. Ma in lei, dal momento in cui il suo mondo di apparente stabilità inizia a crollare a causa del tradimento del marito, si riaccendono le voci che non ha mai voluto ascoltare. I suoi spiriti, espressione dei suoi più veri desideri e delle sue più segrete paure, la assediano, e lei è chiamata a vivere una battaglia contro di loro e con loro, per se stessa, per poter rinascere più forte e cosciente di sé.
Lo spettacolo prende vita da pochi oggetti, la messa in scena è semplice ed evocativa, come a dire che la magia del teatro nasce anche da un solo granello di polvere che, illuminato, può risplendere come un diamante. E un diamante, uno scrigno di specchi, è l’oggetto centrale della scena, un oggetto prezioso che contiene tutto, che rappresenta quanto di più splendido ognuno di noi possiede: i propri sogni. Giulietta è legata a questo suo tesoro come fosse il cordone ombelicale che la unisce al figlio che non ha mai avuto. E al posto del figlio mai nato, altri e numerosi sono i figli spiriti che le affollano la mente, sorgente di una vita in bilico tra sogno e veglia, tra normalità e follia, tra menzogna e verità.
Nella danza macabra della sua vita, Giulietta è divenuta la sua stessa maschera; Il volto scomposto e ricomposto dallo specchio, che la riflette spezzandola negli echi dei suoi spiriti, è sempre stato lì, durante tutto lo spettacolo, e rimarrà lì, dopo la fine di tutto, quando tutti se ne saranno andati. Gli occhi di Giulietta rimarranno a spiare il limite del palcoscenico, luogo intimamente contraddittorio nel quale una cosa è e al tempo stesso non è, nel quale la vita e l’arte entrano in risonanza riflettendosi nel silenzio di parole che sono, ancora e sempre, di là da venire.
Attraverso Giulietta, questo spettacolo vuole cercare e svelare un’altra lei, ignota a lei stessa e forse anche a noi, una donna nuova, profondamente umana e al tempo stesso sacra, una sacerdotessa domestica, una nuova Diotima, una più fortunata Cassandra, della quale però ascolteremo la profezia.
La nostra teatrale profezia, condannata ad essere sempre disattesa, ma della quale non possiamo più fare a meno, pena la vita, è una profezia che ci aiuterà a dare un senso al senso, e un senso al più grande mistero in esso racchiuso: l’Amore.
Monica Ceccardi
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